PALAZZO PESCI-MAIOLICA

Luogo: Foligno (PG)

Ente appaltante: Comune di Foligno

Committente: Condominio palazzo Pesci-Maiolica

Anno incarico: 1998

Progettisti: Ing. Fabrizio Menestò

Gruppo di lavoro: Ing. Fabrizio Menestò  Arch. Franco Folignoli

Situazioni lavori: Lavori ultimati

Prestazione: progetto architettonico, progetto strutturale e direzione dei lavori

Descrizione opere: Miglioramento sismico e rifacimento delle coperture in legno secondo l'originaria tipologia "alla fiorentina".

Il miglioramento è consistito nel innalzare il tono statico delle murature, nel connettere le murature tra loro e agli orizzontamenti; e nell'apposizione di appropriate catene metalliche, capaci di assorbire le azioni spingenti degli orizzontamenti voltati.

Guida Bettoni: Palazzo Maiolica-Pesci sin dal 1431 residenza avita della famiglia Deli, il cui salone stando a Giuseppe Bragazzi, è stato decorato dal pittore Francesco Bottazzi…

La sua facciata, presumibilmente non è posteriore alla metà del secolo XVI, presenta al piano nobile finestre  con timpani alternatamente triangolari e curvi: un tratto stilistico derivato dall'architettura antica, che compare a Roma in molti palazzi di Raffaello e dei suoi allievi (si pensi al palazzo di Jacopo da Brescia)  nel secondo decennio del secolo. Il rapporto con Roma è confermato e sottolineato, del resto, dalla presenza del solenne atrio anticheggiane.


Sette ampie finestre edicolate, a timpano triangolare e curvilineo alternato, corrono lungo il primo piano; un grande portale architravato da ingresso all'edificio; una serie di aperture, modeste ma sufficienti ad immettere luce ed aria al retrostante spazio abitato, lo corona. Sorgevano alla base, sino a pochi anni fa, grandi inferriate protettive, al di là delle quali l'ombra delle volte inglobava larghe superfici. Divelte le inferriate, convertiti i davanzali in soglie, le superfici si sono associate alla via. L'utilizzazione commerciale ha prevalso sulle ragioni domestiche e storiche. Da quel giorno in cui la base degli edifici gentilizi si dissociò dall'unità sovrastante, la solennità del loro impianto scomparve e la fine della loro vitalità architettonica ebbe inizio. Se la memoria ci assiste, pochi palazzi ancora a Foligno sfidano impavidi la minaccia del loro disfacimento unitario: quello dei Gentili-Spinola (ora Mancini)57 e l'altro dei marchesi Barugi (ora Lattanzi) sulla stessa via; il palazzo Pandolfi-Elmi in via Cesare Agostini, e quelli destinati a sedi scolastiche, di proprietà comunale (Barnabò e Candiotti)58. Rimossi i grandi aggetti basali agli edifici, la stessa linea orizzontale che in alto li chiude, anche se fermata vigorosamente dal cornicione, sembra che non sia più sufficiente a potenziarne il respiro. Essi non più poggiano, ma slittano sul terreno fluido della via o della piazza in cospetto delle quali furono elevati. Nella stretta, a cui simultaneamente concorrono e base e cornicione, il prospetto si fa veramente plastico, tonificante e virile. Mirate il palazzo Spinola-Gentili: la sua austerità prorompe dalla base; si solidifica negli aggetti; trova il limite nella cornice estrema che non ardisce valicare. Mirate il palazzo Pandolfi-Elmi: verso le grandi aperture mediane, tutte fortemente aggettanti, si accentra il duplice parallelismo basale e terminale. Nel palazzo Pesci-Feltri tutto ciò non avvieta municipale dapprima nel 1947 (16 aprile) quindi nel 1951 (31 marzo), e ratificata dal consiglio comunale nel 1952 (21 luglio).

Il palazzo Candiotti non è più adibito ad usi scolastici, se ne prevedono destinazioni museali.

il coronamento terminale non lo trattiene più nelle sue strutture che hanno nondimeno singolarmente qualità eminenti; la lunghezza del prospetto ne diminuisce il contenuto; la disarticolazione dei suoi mèmbri cancella quasi l'originaria sua vitalità, inizialmente le sue cinque finestre edicolate non si erano associate alle altre due, venute dopo, e il portale non al centro dell'edificio ma a lato sorgeva. Si volle ampliare il palazzo; si volle centrare il portale; si vollero imitare le edicole impiegando non più pietra ma stucco. Lo stucco qua e là è caduto e lo scheletro sottostante palesa intelaiatura di laterizi. Nato dunque inizialmente vitale, il palazzo Pesci-Feltri perdette la dinamica del suo autentico linguaggio. Quel che di autentico rimane è il portale con i suoi stipiti sagomati di listello, di gola rovescia, di fasce, di corallino, e con la trabeazione ove ovuli e dentelli nel loro classico allineamento s'inseriscono; quel che ancora di maestoso perdura è il distacco che isola dalla base manomessa gli aggetti in pietra delle cinque finestre edicolate, ferme, con la loro solennità, sulla stesura dei pieni. La povertà e la sordità cementizia si sono volgarmente installate là dove il respiro dei vuoti, filtrando tra le larghe maglie metalliche, dava un ritmo pulsante al basamento e una plastica tonalità a tutto il prospetto. Ma chi ricorda più tutto questo se la folla, che riempie la via, già di per sé angusta, non consente di volgere nemmeno lo sguardo sulla facciata di questo palazzo per individuare aggiunte, mulilazioni, ferite? Chi più si cura della esistenza architettonica degli edifici e del suo linguaggio morfologico e sintattico; delle sue espressioni, in altri termini, narrative? Chi entra più in colloquio con le linee terminali di un edificio, coi confini del suo conchiuso spazio e con il contenuto qualitativo che lo spirito vi ha immesso? Un tempo le vie e le piazze vantavano la loro destinazione specifica: da un lato piazze e vie monumentali, dall'altro vie e piazze di mercato. Oggi la mercanzia ha tutto invaso perché gli uomini, divenuti folla sensibile di bisogni, ovunque vanno in cerca di beni, veri o presunti, anche dove il profano può contaminare il sacro.